La Commissione Giustizia del Senato ha approvatoil 20/11/2012, in sede deliberante, il disegno di legge di riforma della normativa sul condominio, già approvato alla Camera il 27 settembre scorso con l’introduzione di parecchie modifiche (e anche con l’eliminazione di alcune norme particolarmente innovative) rispetto al testo unificato approvato al Senato nel gennaio 2011. Giunge così a buon fine, dopo svariati tentativi falliti in passato, l’aggiornamento della disciplina del condominio, essenzialmente concentrata nel codice civile (risalente al 1942), salve poche disposizioni introdotte da leggi speciali.
Gli articoli che trattano la materia condominiale sono quelli ricompresi tra il 1117 e il 1139 c.c. (con rinvio di quest’ultimo, per quanto non espressamente previsto dalle norme sul condominio, alle norme sulla comunione in generale) e da 61 a 72, 155 e 156 delle disposizioni attuative e transitorie.
La legge di riforma aggiorna ora il citato quadro normativo – a seconda dei casi modificando o integrandone gli articoli o, spesso, aggiungendone tout court di nuovi (bis, ter, quater) – e consta di una trentina di articoli, le cui disposizioni entreranno in vigore dopo sei mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Tra le novità di maggiore rilevanza apportate dalla legge di riforma del condominio vanno annoverate le norme su parti e impianti comuni.
L’art. 1117-ter (“Modificazioni delle destinazioni d’uso”), introdotto dalla riforma, dispone che “Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio, può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni” e descrive altresì la procedura “rafforzata” che deve essere a tale proposito seguita per la convocazione dell’assemblea (preavviso di almeno 20 giorni dall’adunanza) e per la relativa informativa. L’ultimo comma dell’articolo dispone, peraltro, che “Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico”.
La norma consente pertanto di deliberare le suddette modifiche delle destinazioni d’uso senza pretendere l’unanimità, peraltro, subordinandole a una doppia maggioranza particolarmente rigorosa e più elevata di quella prescritta per le innovazioni di maggior portata (art. 1120, comma 1, non modificato dalla riforma: “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni”); innovazioni che, a seguito della riforma (salve alcune ipotesi, individuate dal nuovo comma 2 dell’art. 1120, per le quali sono previste maggioranze più leggere), dovranno “ essere approvate dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio”, anziché, come previsto dalla normativa finora vigente, “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio”.
È necessario ricordare che nell’attuale disciplina le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 5, sono prescritte per i casi nei quali le innovazioni comportano oneri alla collettività condominiale; in mancanza (ove la spesa per l’innovazione sia a carico di un condomino), si rende applicabile la norma generale di cui all’art. 1102, in base alla quale “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”, fermo comunque il divieto di cui all’art. 1120, comma 2, per “le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.
Occorre considerare anche che in giurisprudenza (di merito e di legittimità) il concetto di innovazione è stato differenziato da quello di modifica, limitando il primo alle sole modificazioni materiali che alterino l’entità sostanziale o la destinazione originaria e riferendo il secondo a quelle situazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune lasciandone immutata consistenza e destinazione, così da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, come nel caso del semplice restringimento di un viale di accesso condominiale che non ne precluda destinazione e funzionalità per gli altri condomini. Di recente, la Cassazione (sent. n. 14107/2012) si è spinta anche ad affermare che non costituisce innovazione vietata la trasformazione di una parte del tetto in terrazza ad uso esclusivo, “a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene” e se le opere esclusive siano di dimensione contenuta e tale da conservare al bene comune la sua destinazione principale.
La novella di cui all’art. 1117-ter comma 1 sembra volersi spingere ancora oltre, consentendo di modificare la destinazione d’uso delle parti comuni e, quindi, consentendo un loro uso del tutto differente da quello originario.
Fonte: Eutekne